Quando riaffiorano alla mente i ricordi di quand’ero bambina, ho ancora molti flashback, alcuni abbastanza chiari altri un po’ sbiaditi. Sono passati tanti anni da allora ma ci sono dei momenti e dei luoghi che si sono come cristallizzati nella memoria. Non so se è una cosa naturale che capita a tutti o se è frutto della cosiddetta “memoria fotografica”, che credo di avere.
Quando avevo all’incirca 4 o 5 anni, il mio quartiere di S. Michele non aveva ancora la strada carrabile. L’avrebbero costruita di lì a poco, soltanto grazie al passaggio dell’acquedotto di Salerno, che finalmente risolveva un grosso problema a quei paesi della Costiera che soffrivano della cronica ed atavica mancanza d’acqua in estate, ma che davano anche l’opportunità, come in questo caso, di creare strade in posti dove non c’erano ancora, spesso nella zona alta del territorio o in zone periferiche difficili da raggiungere e “tagliate fuori” un po’ da tutto!
Piccolissimi microcosmi, quasi chiusi ed isolati dal “resto del mondo” dove la vita scorreva lenta e per certi versi più serena.
I proprietari dei terreni dove da progetto doveva passare la strada, erano ben lieti di cedere un pezzo della loro proprietà per avere finalmente questa comodità vicino casa, felici di poterla raggiungere con la macchina! Erano ancora inconsapevoli che quella striscia di strada rappresentasse molto di più di questo… Era il preludio alla modernità!
Ci sarebbero voluti altri 10 anni buoni, per vederla asfaltata, con una ringhiera ed una sorta di illuminazione pubblica, ma in fin dei conti la gente del posto si accontentava e non si lamentava di avere una strada polverosa d’estate e fangosa d’inverno (con annesso laghetto dopo una copiosa pioggia), perché non si osava chiedere troppo!
Di seguito, vi racconto alcuni episodi del prima e del dopo, e di come una strada può cambiare le sorti di un quartiere o di un paese intero.
Era verso la metà degli anni ’70, inizio degli ’80, e la Costiera era simbolicamente divisa in due: la parte bassa, più sviluppata, caotica e brulicante di turisti, dove si concentravano quasi tutti gli alberghi ed i ristoranti (ma non tantissimi come ora), e la parte alta, abitata dalla gente del luogo, tranquilla e con pochissimi turisti, frequentata solo da qualche straniero avventuroso e curioso che si allontanava dai percorsi canonici, o dai cosiddetti “villeggianti” i quali, ogni anno, affittavano una casa per lunghe settimane o per tutti i mesi estivi. C’erano, infine, i conchesi andati via dal paese per lavoro, che ritornavano ogni estate nelle loro case di origine.
Al posto della strada c’erano migliaia di scalini, stradine e sentieri da percorrere a piedi.
A quei tempi si camminava e si andava su e giù per le scale decine di volte al giorno!
Tutto si raggiungeva a piedi, la scuola, il lavoro, il mare…
Anche per raggiungere l’unico negozio di alimentari del quartiere si dovevano fare tante scale, perché ovviamente si trovava nei pressi di una strada di passaggio.
Da Filippo… per il pane e il latte!
Il primo ricordo che vi racconto, è proprio legato al negozio della mia zona, quello di Filippo, un nostro vicino di casa, un tempo falegname, che aveva aperto il suo piccolo negozio di generi alimentari e poco altro, ad Acquarola, la parte alta del quartiere, nei pressi della strada per Agerola (quindi dovevamo fare una lunga scalinata per raggiungere il suo emporio!).
Lo ricordo molto bene, perché questo compito fu affidato da mia mamma a me e mia sorella, più grande di me di due anni, quando secondo lei, raggiungemmo l’età giusta per andare da sole a prendere “o pan e o latt”, cioè il pane e il latte, i due generi alimentari più essenziali, ma che per mia madre identificavano anche tutti gli altri prodotti acquistabili in negozio.
Questa commissione mamma ce la chiedeva principalmente, nel periodo delle vacanze estive, quando le scuole erano chiuse e quindi eravamo libere dagli impegni scolastici.
Ogni volta era sempre un frignare ed un continuo lamentarsi. Per noi era un peso esagerato! Volevamo solo giocare (anche se finivamo quasi sempre a litigare!), ma poi c’erano tutte quelle scale da fare, con il caldo, il sole, la paura di trovare qualche cane o peggio ancora qualche serpentello, ed infine c’era la certezza quasi matematica che con Filippo ci sarebbe stata un’estenuante discussione sulla quantità di pane e latte da prendere!
Mi spiego meglio. Come ho già accennato, quasi in tutti i paesi costieri, ogni quartiere aveva un piccolo emporio che serviva le poche famiglie della propria zona. Era il punto di riferimento, proprio perché non c’era la possibilità (come ora) di prendere la macchina ed andare dove si voleva. L’esercente sapeva per filo e per segno la quantità di merce da comprare per rivenderla ai suoi clienti, aiutato anche dal metodo che quasi tutti usavano per il pagamento. All’epoca, infatti, era uso comune segnare la spesa giornaliera su di un quadernetto, per poi pagare tutto a fine mese.
Quindi succedeva che quando mamma ci diceva di prendere meno pane o meno latte del solito perché per qualche motivo non si era consumato quello precedente, a Filippo la cosa non andava bene e si inalberava con noi, in quanto aveva già comprato la quantità solita nostra e, se non la prendevamo, gli rimaneva sul groppone… Seguivano, così, lunghe discussioni con mia sorella che, a differenza mia, voleva seguire imperterrita le indicazioni della lista della spesa!
“Tizianell e papà ngopp o sacc le mel”
Ho un ricordo personale molto divertente legato in qualche modo a Filippo.
Ad Acquarola non c’era solo il suo negozio, ma anche il garage di un nostro parente, dove papà parcheggiava la sua macchina, all’epoca una Fiat 600.
Quindi, era un continuo salire e scendere da “Ngopp Acquarol” (da sopra Acquarola).
Mia mamma era originaria di Agerola, come anche la mia nonna paterna. Per questo motivo, almeno una volta a settimana, tutti noi (tranne mio fratello, che non era ancora nato) salivavamo a trovare i nonni materni ed a fare la spesa “grossa”, specialmente di carne e latticini.
Quando tornavamo eravamo quasi sempre pieni di cose da scendere a casa.
Un giorno, tornammo verso sera, quando Filippo stava chiudendo il suo negozio e si apprestava anche lui a tornare a casa per la stessa scala. Io ero piccola, credo tra i 2 e i 4 anni, e dopo la seconda rampa di scale iniziai a piangere ed a lamentarmi, perché non volevo scendere a piedi ma essere presa in braccio (mamma mi ha raccontato, in seguito, che da piccola l’esasperavo perché non volevo mai camminare a piedi…), però quella sera i miei genitori erano pieni di cose da portare!
Addirittura, mio padre trasportava sulle spalle un sacco enorme (credo di 30 kg minimo) pieno di mele non buone da mangiare ma destinate a cibare i nostri animali da cortile, e aveva in mano delle buste.
Essendo stanca ed avevo sonno, cominciai a piangere a dirotto e, testardamente, a non muovermi dal punto dove mi trovavo. I miei genitori, insieme a Filippo, provarono inizialmente a convincermi in tutti i modi, ma finirono per innervosirsi al punto che, mio padre, pensando ingenuamente che non avrei mai accettato, mi disse che l’unico modo per portarmi era salire sopra il sacco delle mele che già portava sulle spalle…
Io, candidamente, accettai la bizzarra proposta! Papà, ancora incredulo, appoggiò il sacco su di un poggio del muro perimetrale della scala e mi ci fece salire a cavalcioni, tenendomi per le mani.
Credo di averlo fatto con tutta l’incoscienza, ma sopratutto con tutto l’amore e la fiducia che una bambina poteva riporre nel suo papà!
Filippo non credeva ai suoi occhi. Una scena paradossale ed incredibile! Era divertito e meravigliato allo stesso tempo.
Il giorno dopo, ovviamente, l’episodio lo raccontò a diverse persone e, in men che non si dica, tutta la gente del quartiere ne venne a conoscenza.
Io, specialmente dai miei zii e cugini, ero chiamata con il vezzeggiativo che mi aveva dato mio padre: Tizianell e papà! (e forse era stato proprio Filippo a mettermi questo nomignolo…)
Fatto sta che, da quella sera, e per diversi anni, Filippo volle aggiungere un pezzetto al mio nomignolo già lungo, ed iniziò a chiamarmi: Tizianell e papà ngopp o’ sacc le mel! (Tizianella di papà, sopra il sacco di mele)